USCIRE DAL VECCHIO MONDO O TORNARE AL FUTURO?

La strategia nazionale aree interne non ha messo a disposizione una grande opportunità economica, no. La “comunità militante delle aree interne in Italia” ha avuto l’opportunità di far conoscere, di provare a far comprendere, di portare a sistema, non tanto le innumerevoli difficoltà della gestione di questa fetta importante di territorio, ma soprattutto le grandi opportunità, i grandi valori, la grande storia, il grande senso di appartenenza ad una comunità. E farlo capire e poi vedere che le nostre battaglie, i nostri sogni, le nostre proposte vengono assunte dal “sistema” è la più grande vittoria che amministratori di comuni di poche decine di persone possa immaginare. E su questo Barca ha ragione: la SNAI ha portato la periferia al “centro” . E lo ha fatto con un grande sforzo di comprensione, con referenti del CNAI presenti, capaci, propulsivi; lo ha fatto mettendo i territori come punto di partenza e di arrivo; lo ha fatto con una metodica di lavoro trasversale che mettesse in evidenza “l’alterità” e “unicità” delle aree interne proiettandola nel futuro.

E soprattutto lo ha fatto coinvolgendo in questo metodo anche alcune fette delle burocrazie, che , durante il percorso , hanno avuto la grande capacità, almeno nel nostro caso, di convergere sulle nostre necessità in modo convinto e consapevole.

Ciò non significa risolvere le annose questioni che ci imbrigliano, ma il fatto che la questione sia emersa è già tanta roba. Tanto rimane da fare, tanti lacci e lacciuoli sono da sciogliere.

La Resilienza delle comunità locali alle sollecitazioni dei cambiamenti storici e dei cicli economici, negativa da un lato, restituisce un patrimonio di tradizioni, conoscenze e capacità di grande spessore favorendo altresì uno spiccato senso di appartenenza di Comunità che non ci stanno a dichiararsi sconfitte.

Il resto del percorso, tuttora in atto, è una storia ancora da scrivere. Vi è però un rischio fondamentale: il fatto che l’iniziativa spontanea, se non supportata da un’azione mirata e coordinata non riesca ad acquistare la necessaria consistenza per generare cambiamento e uno sviluppo duraturo e sostenibile. E soprattutto che questa iniziativa abbia continuità d’azione nonostante il turn over di istituzioni che hanno le fondamenta d’argilla.

Ma, per la prima volta, con la Strategia nazionale per le Aree Interne, è disponibile uno strumento sufficientemente flessibile da adattarsi alle esigenze di un territorio – evidentemente diverso da altri contesti rispetto ai quali, per lungo tempo, sono state elaborate le politiche di sviluppo territoriale regionale e nazionale – ma al contempo efficace per incidere su un reale cambiamento.

Per questo credo che, più che “uscire dal vecchio mondo” immagino e sogno che la riproposizione di una prospettiva di futuro, che per molto tempo è mancata, prenda avvio dal passato.. un “ritorno al futuro”, ovvero dal patrimonio ambientale e culturale locale, che, scampato alle minacce di uno sviluppo effimero, e grazie ai peculiari caratteri di autenticità, può nuovamente offrire una prospettiva di sviluppo alle comunità locali, che sappiano valorizzarlo.

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CHARAMAIO…..?

CAPIAMOCI. La neve manca solo a Limone o Pratonevoso? La calamità naturale vale solo perché le seggiovie non girano? Ma il modello di montagna è questo? Interrogativi che

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Rocca La Meja, 1 Gennaio 2016

prendono spunto dall’ottima analisi di Roberto Ribero. Leggetela. Non voglio ripetere le sue valutazioni perché le condivido al 100%. Roberto è un amico, è uno che ci crede e he lavora perché gli avvenimenti accadano. Ed è uno , come altri, che ha un’idea di montagna che è ben lontana dal modello che emerge in questa vicenda. Chi ha parlato dello stato di calamità che idea ha della montagna? Ma davvero si crede ancora che il modello vincente sia quello che non può fare a meno di ingenti risorse pubbliche per andare avanti? Ancora non si è capito che è finita la stagione di centinaia di milioni di € per impiantistica sportiva ? Ancora non si è capito che il modello di sviluppo delle terre alte deve partire dai valori intrinsechi delle comunità alpine e non da modelli urbani “transumanti”. Quanti negozi o locande che svolgono un servizio pubblico di primaria importanza -in quanto garantiscono il mantenimento della socialità in ambiti ridotti ai minimi termini- si potrebbero aiutare con meno risorse rispetto alle milionate di € utilizzati per costruire seggiovie e funivie per portare la gente a sciare?Quanto è tornato su quei territori per ogni € investito? E quanti € invece sono tornati sul territorio per le risorse investite ( centinaia di volte inferiori) sulla sentieristica, sulla cultura, sulle tradizioni, sul recupero architettonico dei borghi alpini? La mancanza di neve è un problema ovunque e per tutti ed è una calamità naturale. Ma credo che molti più danni siano stati fatti dalle “calamità artificiali” di chi non ha idea di cosa significhi montagna, e che pensa di assumersi un ruolo di paladino delle terre alte perché non può andare a fare la settimana bianca.
Ps. Sia ben chiaro: o la calamità vale per tutti o non vale per nessuno….

Confindustria e montagna:atto II

Pubblico sul mio blog la lettera che ho inviato a Biraghi,visto che non ho avuto risposte e neanche le scuse,non a me,ma alla gente di Elva.

Dispiace constatare per l’ennesima volta come alcune prese di posizione del Presidente di Confindustria Cuneo, che ultimamente stanno diventando sempre più frequenti, siano poco accurate se non addirittura superficiali. Già era successo sulla questione fondi ATO alle comunità montane nella quale il presidente dichiarava sbagliando, che le risorse venivano impiegate per mantenere in piedi degli enti ( invece vanno alle imprese che lavorano) e dichiarava,sbagliando,che le comunità montane erano chiuse da anni: siamo ancora vivi oggi.
L’ultima dichiarazione un po’,per così dire, presa alla leggera, riguarda l’articolo comparso sulla rivista ProvinciaOggi di Febbraio sull’annosa questione del Colle della Maddalena. Pur condividendo la battaglia che Confindustria sta facendo insieme agli enti locali nei confronti di ANAS , vorrei solamente fare alcune puntualizzazioni nella parte dell’intervista nella quale si fa riferimento alla valle Maira, e , per la precisione, alle strade che giungono ad Elva.
Innanzitutto faccio presente a chi non lo sapesse che le strade sono Provinciali e quindi non di competenza ANAS: credo che la differenza sia sostanziale perché è pressoché inutile chiedere all’Anas perché la Provincia di Cuneo tenga aperta una strada ;
Secondo: Le strade per Elva vengono tenute aperte perché, informo anche su questo, a Elva ci vive qualcuno, c’è un Comune, ci sono delle aziende agricole, ci sono delle strutture ricettive e , addirittura, dei bambini che utilizzano quelle strade -che è inutile tenere aperte- per andare a scuola.
Nonostante la politica, nonostante il disinteresse generale, nonostante alla pianura e al suo mondo produttivo non interessi nulla della montagna ( se non, per puro esempio, accaparrarsi le risorse energetiche o,sempre per puro esempio, dare i nomi alle proprie aziende con chiari riferimenti alle vallate per evocare un’immagine rurale nell’immaginario del consumatore)…nonostante tutto ciò, qualcuno resiste. E resiste nonostante le due strade di Elva siano pericolose e siano a rischio valanghe e frane.
È ora di finirla di tarare la necessità o meno di fornire dei servizi in base al numero di abitanti che vengono serviti. Ci sono servizi inderogabili a prescindere dal numero di persone che ne usufruiscono. Immagino che il ragionamento di Biraghi sia dovuto ad eccessiva fretta,ma chiedo, gentilmente, di chiedere scusa agli abitanti di Elva e di tutte le vallate in cui non devono passare 150 camion al giorno che si sono sentiti profondamente offesi dalle incaute parole del Presidente dell’Associazione che dovrebbe rappresentare gli industriali.
La visione che si ha delle terre alte e della sua gente da parte di certa impresa, da parte di certa politica, da parte dei poteri forti, demarca poca conoscenza, poca eleganza e sopratutto poca voglia di fare sistema, ovvero di fare della Provincia un territorio, pianura e montagna nel suo complesso, più competitivo. Se la battaglia che Confindustria porta avanti politicamente è di questa levatura, è davvero una battaglia dei poveri. Ma una cosa vorrei consigliare al Dr. Biraghi : si legga qualche pagina della storia delle nostre vallate e vedrà come siano state sempre territori aperti al confronto e al dialogo, culturalmente ricchi ed economicamente mai poveri, proiettati in un Europa che ancora non si sognava, ma, nello stesso tempo, sempre animati da un forte spirito autonomista e di libertà. Se neanche i Marchesi di Saluzzo e i Savoia più di tanto comandarono in valle Maira, dubitiamo che lo possa fare Confindustria Cuneo.

Roberto Colombero
Presidente di Comunità Montana Valli Grana e Maira
Sindaco di Canosio ( Comune in cui ci vive qualcuno)

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LEGGE SULLA MONTAGNA E ALPES- SETTIMANA CON LA MONTAGNA AL CENTRO

L’ultima settimana è stata caratterizzata da tre eventi particolari per la montagna piemontese che sottolineano un concetto chiave: la montagna unita può incidere sulle decisioni.
Martedì scorso circa 100 sindaci dimostrano silenziosamente ma con fermezza in Consiglio Regionale perché venga approvata la Legge sulla Montagna e mettono i gruppi consigliari davanti alle loro responsabilità.
Sabato 8 Marzo,a Torino, 60 tra amministratori e sindaci battezzano la nascita di ALPES, rete tra amministratori della montagna piemontese, idea nata in Valle Maira e in Valle Po una sera di Gennaio tra alcuni sindaci, allargata a tutto il Piemonte che nel giro di pochi giorni sta facendo discutere e sta creando tanto interesse .
Martedi 11 Marzo, il Consiglio regionale approva il DDL 373 Vignale-Molinari, dando al Piemonte una legge sulla Montagna che la legge 11/ 2012 aveva cancellato. In aula erano presenti a presidiare alcune decine di sindaci.
Tre passaggi chiave o la chiave di volta di un percorso interrotto da due anni e che rischiava di inceppare pericolosamente la macchina dello sviluppo delle terre alte. Ma come sempre succede, questi tre eventi vengono visti con malafede da più parti . Le cause possono essere differenti: semplice ma grave ignoranza, faziosità di parte, o semplicemente timore. Timore di cosa? Timore che la montagna, finalmente, forse all’ultima chiamata , superi la visione in difensiva delle politiche che da decenni vengono portate avanti e cominci una partita nuova: la partita in cui si mette nel centro del campo e guarda avanti giocando in attacco.

Abbiamo subito soprusi e attacchi da destra e sinistra, riceviamo quotidianamente insegnamenti su come dobbiamo vivere e creare sviluppo da tutti i tipi di associazione che possano immaginarsi, interni ed esterni. Professoroni, teorici, esperti, filosofi, tanti Mauro Corona ( ovviamente non in grado neanche di avvicinarsi al grande personaggio di Erto) ” dei poveri” e poi una sfilza si sedicenti politici che ci insegnano dall’alto del loro scranno consigliare ben retribuito cosa bisogna fare in montagna.
A questo signori semplicemente dobbiamo cominciare a dire: grazie, ma al nostro territorio ci pensiamo noi,noi che non siamo una banda di ” rozzi montanari incapaci”, noi che ci mettiamo la faccia e non solo(!!!) candidandoci e amministrando i nostri Comuni e non facciamo solo teoria della retorica senza rischiare nulla.
Marzo 2014 è un punto di svolta: l’opportunità di ALPES deve essere colta in primis da chi sta amministrando i nostri Comuni perché tra tutti si è costituita una relazione di collaborazioni che stanno portando dei risultati nonostante il periodo difficile . ALPES è oltre i partiti, è una visione della montagna che vogliamo e sopratutto uno strumento di incisione sulle politiche di chi legifera. Siamo riusciti in questo primo importante passo di far approvare la Legge sulla Montagna nel momento in cui ci siamo presentati uniti in consiglio.

Diamo un valore aggiunto a questa esperienza: crediamoci. Siamo ancora qui, nonostante il lupo di pianura volesse sbranarci, siamo ancora qui. Facciamo rete tra di noi, presentiamoci uniti da un simbolo dietro al quale c’è la condivisione della visione.
È chiaro che non tutti si sentiranno rappresentati da questo tipo di iniziativa: sicuramente chi non crede ad una visione di territorio che vada oltre i confini comunali, sicuramente chi pensa che il proprio comune sia sufficiente a se stesso, sicuramente chi non crede alle Unioni come soggetto che gestisce le funzioni di sviluppo montano.
Ce ne faremo una ragione,anche noi…..

POSTE ITALIANE: non costa poco mandarlo a quel Paese…è impossibile!

 

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Questo slogan è sempre MENO PER TE, se il te vive in una vallata di Cuneo.

Ancora una volta mi duole sottolineare come sia stata presa una decisione di “razionalizzazione” senza confronto col territorio che va a penalizzare sempre e comunque chi, per scelta o meno, vive nelle terre alte di questa Provincia.

Le segnalazioni sulla mancata effettuazione del servizio non sono frutto di qualche equivoco involontario: come afferma il Direttore di Cuneo di Poste Italiane  “altri tipi di spedizioni che offrono standard diversi, come ad esempio il Corriere Espresso j+1,vengono forniti da una rete meno estesa di sportelli”. Peccato che la rete meno estesa di sportelli vada  a colpire chi ha già, se va bene, gli sportelli aperti a giorni alterni. Di fatto con questa operazione si è eliminato l’ultimo mezzo di spedizione “espresso” da buona parte dalle alte valli, in quanto è risaputo che i corrieri su gomma, nelle valli, ci vengono solo se costretti o una volta a settimana quando raggiungono un certo numero di consegne.

Nel caso specifico, lo sportello di Castelmagno, che egregiamente svolgeva il sevizio j+1, era essenziale per la spedizione di pacchi dal piccolo negozio del paese che, in modo innovativo e grazie agli sforzi degli enti pubblici per potenziamento della banda larga, era riuscito a creare un efficace commercio on line. Quanto accaduto costringe le aziende a fare km per raggiungere gli uffici abilitati alla spedizione dei pacchi espresso, che sono gli unici graditi da chi commercia, in quanto ha la certezza della consegna da uno a un massimo di tre giorni. Affermare che nulla cambia in quanto rimangono i pacchi ordinari (consegna i 5-6 giorni) e i pacchi internazionali, significa aggirare il problema.

Difficile anche capire dove sta la razionalizzazione, visto che sia i postini che i furgoni continuano a raggiungere comunque gli uffici  a recuperare la posta… ma non più i pacchi celeri.

Le potenzialità di commercio online delle aziende montane, capaci di fornire prodotti genuini e di nicchia, ma di difficile reperibilità se non dietro spedizione, vengono affondate grazie a questa decisione.

Chiedo umilmente un ripensamento e sensato passo indietro là dove i disservizi saranno segnalati: questo potrebbe essere un segnale di giusta attenzione al territorio da parte di Poste Italiane, che, tra i suoi clienti più importanti, ha certamente gli abitanti stessi delle vallate in quanto ultimo soggetto in grado di fornire certi servizi (vedasi le pensioni)  sicuramente da tutti apprezzato.

Non contribuisca ulteriormente anche PosteItaliane a isolare le montagne di più di quanto già non facciano le istituzioni (Provincia, Regioni e Stato Centrale) e tutta la politica.

 

Quando CONFINDUSTRIA Cuneo non sa se le Comunità Montane Cuneesi esistono ancora.

Il Presidente di Confindustria Cuneo ha di nuovo scritto a tutti i sindaci della Provincia chiedendo un’ulteriore sforzo: ” carissimi, siete favorevoli o contrari all’abolizione dell’8% e l’1,5% di tassa sulla bolletta che va alle comunità montane chiuse da anni?”

Leggo con stupore la comunicazione inviata. Stupore che deriva, innanzitutto, dalla constatazione di quanta poca conoscenza c’è della realtà montana della nostra provincia, o, in alternativa, da quanta malafede c’è in chi  consiglia il Presidente di Confindustria.

Entriamo nel merito della questione:

1-    l’addizionale dell’8% (per l’AATO Cuneo) va alle comunità montane per disposto ordinato dalla legge regionale 13/1997, art. 8,comma 4 e, quindi, non sono in disponibilità di nessun altro soggetto che non siano le comunità montane stesse, per legge.

2-    l’addizionale dell’1,5% va alla gestione dell’autorità d’ambito stessa e non alle comunità montane;

3-    notizia dell’ultima ora (mi si passi l’ironia che nasconde il senso di frustrazione che un sindaco prova a scrivere queste lettere), le comunità montane esistono ancora, non sono mai state cancellate, sono operative e proseguono nella loro attività di sviluppo del territorio montano nonostante l’opera di delegittimazione e di isolamento che in modo sistematico viene portato avanti da anni da più parti, compreso il mondo dell’industria che, di interessi, nelle aree montane, ne ha parecchi e non di poco conto (e l’acqua ne è un esempio);

4-    l’elemento più stucchevole è che non si sappia come vengono spesi questi soldi, forse anche per colpa di una nostra scarsa inclinazione a promuovere l’attività che viene svolta. Le risorse sono vincolate ad opere di sistemazione idregeologica che quindi vengono spese sul territorio in interventi svolti da imprese per lo più del territorio (inteso Provincia) tra le quali sicuramente ci sono degli associati Confindustria. Non vengono utilizzate per pagare né le indennità degli amministratori (in quanto gli unici in Italia a non percepire un euro) e tantomeno per coprire altre spese.

Mi pare quanto meno strano che ci si chieda se siamo d’accordo o meno a spendere delle risorse per l’assetto idrogeologico di un territorio fragile, quale quello montano, che, ricordo, la pianura ha sulla testa, a favore delle imprese rappresentate anche in Confindustria.

Mi aspetterei, invece, una  collaborazione dal mondo associativo delle imprese

1-    per abbreviare l’iter burocratico autorizzativo di certe opere, che, aggiunto  alla natura stessa degli interventi, in luoghi in cui si può lavorare per pochi mesi all’anno, allunga i tempi di realizzazione in modo esponenziale, mentre invece, avremmo necessità di poter spendere più rapidamente per far lavorare più imprese.

2-    Per fare una battaglia perché l’addizionale venga stabilita a livello regionale in modo da alzare quella di Torino (adesso al 3%,ma che con più popolazione introita ben più risorse) e contemporaneamente ridurre quella di Cuneo.

Credo sia venuto il tempo di analizzare con serietà e senza facile demagogia, la vera essenza delle questioni che riguardano la montagna: questa non può tornare utile solo quando serve ad arricchire qualcuno lasciando sul territorio poche briciole ad evocare un atteggiamento colonialista che è fuori luogo e fuori tempo massimo.

La montagna, con le sue risorse energetiche e umane, ha contribuito all’industrializzazione del nostro Paese e ha pagato un conto salatissimo. Non perseveriamo nell’errore.

Sarebbe il caso,forse, prima di argomentare su questioni di cui non si conoscono tutti   i meccanismi, cercare di farsi una visione più completa possibile, anche per evitare di inciampare in brutte figure.

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Comunità montane o Unioni Montane… o entrambe? Pasticcio, ennesimo, della Regione Piemonte

La partita della Regione Piemonte contro le comunità montane potrebbe rivelarsi una Caporetto per la giunta regionale. Sicuramente è l’ennesima prova di quanto pressappochismo, di quanta ignoranza della materia condita da una dose imbarazzante di demagogia e populismo, ha accompagnato l’operato di chi ha voluto questa legge: ovvero l’ex Assessore Maccanti e la Lega Nord. Nelle prossime settimane il Tar dovrà esprimersi sul ricorso da parte della Comunità Alpi del Mare che chiede l’annullamento della deliberazione della Giunta regionale del 3 giugno che, in attuazione della detta legge 11, approva i criteri per la nomina dei Commissari liquidatori delle Comunità montane. Contestualmente, chiede al TAR l’adozione di provvedimenti immediati che impediscano l’applicazione della deliberazione ritenendo che la legge regionale 11 presenti numerosi vizi di incostituzionalità. L’incostituzionalità risulterebbe, in primo luogo, dal contrasto con l’articolo 44 della Costituzione dal momento che la stessa Corte costituzionale ha già ritenuto che esso impedisca la soppressione tout court delle comunità montane (sent. Corte cost. 229/2001). Inoltre, sempre violando norme costituzionali (artt. 5, 114 e 120), la legge regionale è stata approvata senza la partecipazione dei comuni, necessaria proprio in materia di organizzazione delle comunità montane. Infine, la legge regionale è stata emanata in violazione dello stesso Statuto della Regione Piemonte che prevede espressamente (artt. 3 e 4), tra gli enti locali coi quali si raccorda la Regione nella sua attività, anche le comunità montane. Conseguentemente, la loro soppressione può avvenire soltanto modificando lo Statuto e non con una legge ordinaria qual è la legge regionale 11. Ovviamente tutto questo era stato chiaramente detto ai tempi della discussione in Commissione, al CAL e in Consiglio alla Sig. Maccanti e ai suoi aitanti funzionari alla ricerca di un po’ di fama, che incuranti della forma, oltre che della sostanza, hanno tirato dritto senza alcuna considerazione nei confronti degli amministratori della montagna, quella vera. Se il TAR riterrà fondate le questioni di incostituzionalità sollevate, le trasmetterà alla Corte costituzionale affinché si pronunci

Siamo quindi all’ennesimo capitolo di una vicenda che sta tenendo impalati degli Enti che di tutt’altro dovrebbero occuparsi e invece sono da 5 anni impegnati a capire come poter rispondere alle pressanti e inderogabili richieste di un territorio bisognoso di risposte senza gli strumenti per poterlo fare. Credo sia opportuno fare un po’ di storia per capire in quale situazione si trova chi amministra e lavora negli Enti montani.

Dopo lo scandalo giornalistico che aveva denunciato l’esistenza di comunità montane “a livello del mare”, il legislatore si sente in dovere di intervenire per far cessare ulteriori abusi nella materia. Con la legge finanziaria del 2008 (L. 244/2007), ordina alle regioni di provvedere, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, al riordino delle comunità montane in modo da ridurne le spese di funzionamento. La disposizione non ha seguito alcuno. Il legislatore interviene allora nuovamente. Nel 2008 (DL 112/2008, L. 113/2008), riduce i trasferimenti statali alle comunità montane. Poi, con la legge finanziaria 2010 (L.191/2009), sopprime totalmente il fondo per il finanziamento delle comunità montane (sostanzialmente, tende a cancellarle per fame). Ma le regioni continuano a mantenerle in vita. Nel 2010 (DL 78/2010, L. 122/2010), tenta un’altra strada per farle morire. Non parla più di soppressione diretta (o per fame) delle comunità montane. Cerca di cancellarle indirettamente imponendo ai comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, o a 3.000 se appartenenti o già appartenuti a comunità montane, l’esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali esclusivamente attraverso i due modelli organizzativi degli enti locali dell’unione di comuni o delle convenzioni tra essi. Le regioni dovranno individuare la dimensione territoriale ottimale per le unioni. Dunque, la comunità montana non può più essere un modello per l’esercizio associato di funzioni dei comuni montani. Le unioni dei comuni montani si chiameranno “Unioni montane di comuni”. Basta con queste brutte comunità montane! Facciamo saltare tutto,anche ciò che era positivo. Si giunge alla legge spending review di Monti (DL 95/2012, L. 135/2012) che riscrive nuovamente le norme per le unioni di comuni.

In questa giungla normativa, le Regioni hanno dato libero sfogo alla fantasia andando in ordine sparso, con buona pace dell’omogeneità istituzionale del Paese. E così mentre alcune (poche) hanno tentato di intervenire con leggi proprie, molte non hanno inteso e non intendono dare corso alle disposizioni del legislatore nazionale. Continuano a sostenere che le comunità montane, per le loro peculiari funzioni nei territori montani, non vanno soppresse. Per quanto riguarda il Piemonte, la legge c’è stata ed è quella della Maccanti- ormai dai più definita per affinità di partito, un’altra porcata- che è stata già variamente modificata, ma che è palesemente inapplicabile tant’è che in Regione son pochissime le Unioni costituite e,quelle poche,sono scatole vuote.

Sindaci e amministratori di comuni facenti parte delle comunità montane piemontesi sopprimende, ma tuttora operanti, brancolano nel buio senza direttive e senza conoscere quale sarà il proprio futuro. Sono anche “in bolletta” poiché la Regione non ha ancora dato certezze o erogato finanziamenti in parte per il 2012 e tutto il 2013 andando incontro ad anticipazioni bancarie che gravano ulteriormente su casse già vuote. Anche i 430 dipendenti s’interrogano sul loro futuro.

Intanto il nuovo assessore alla montagna (l’unica nota positiva che giunge da Piazza Castello) si trova a gestire una situazione, che da come si evince, è a dir poco esplosiva. Pare sia in procinto di modificare ulteriormente la Legge 11 tornando a riempire di contenuti il Testo Unico sulla Montagna (legge 16) che era stata pesantemente violentata dalla Maccanti relegando la 11 a strumento normativo che regola le funzioni fondamentali dei comuni, ma restituendo al territorio montano una sua legge per indirizzare lo sviluppo dei territori delle terre alte. Era evidente che la gestione demagogica di questa partita non poteva che portare a confusione e ritardi per l’inapplicabilità della legge stessa e per le conseguenze, che nonostante gli avvertimenti, non sono state prese in considerazione (vedasi, ad. es., la partita dei GAL, che sono gli unici soggetti che possono gestire una parte di risorse europee che la Regione è obbligata a spendere e che, venendo meno le comunità montane, che sono i soci pubblici di maggioranza dei GAL stessi, avrebbero rischiato di chiudere i battenti con la perdita di ingenti risorse che vanno alle imprese e al territorio)

Nei prossimi mesi, grazie all’incapacità di gestione e di ascolto della Regione, potremmo vedere situazioni assurde come la nascita delle unioni e la concomitante sopravvivenza delle vecchie Comunità Montane, alla faccia della semplificazione e ottimizzazione delle risorse.(alla Comunità Montana Valli Grana e Maira, si aggiungerebbero l’Unione Montana della valle Maira e l’Unione Montana della valle Grana)
In tutto questo pasticcio il territorio cerca di sopravvivere nonostante le sue istituzioni, da Torino e da Roma, vengano messe in crisi in modo costante…intanto i servizi continuano ad essere tagliati e l’atavica richiesta di una politica dedicata ai territori montani rimane lettera morta.

Nel nostro Paese continuano le enormi diseconomie della finanza pubblica determinate dall’ incapacità di chi governa di affrontare un problema e di arrivare a risolverlo senza cambiarne continuamente le regole del gioco, per poi lasciare che tutto prosegua come prima o, peggio ancora, nel disordine generale. Il problema può chiamarsi  Provincia da sopprimere o Comunità montana da estinguere. Si producono fiumi di norme senza mai verificare quali possibilità concrete hanno di essere applicate.

E questa inefficienza, sui nostri territori, potrebbe essere letale.

Roberto Colombero

MONTAGNA BENE COMUNE O A LIBERO ACCESSO?

In questi giorni emerge forte  il tema sulla tragedia dei beni comuni e il dilemma tra Risorsa Comune e Risorsa a libero accesso . La montagna è una risorsa comune o una risorsa a libero accesso?

Più volte in queste settimane mi sono sentito dire per la ormai tanto discussa chiusura della strada della Gardetta che la montagna è di tutti e nessuno può arrogarsi il diritto di limitarne l’accesso: da questo dedurrei che la montagna è intesa come Risorsa a libero accesso.

D’altro canto una risorsa che ha libero accesso all’utilizzo, visto sotto le varie forme, è una risorsa che va incontro ad esaurimento facendo venire meno quel valore di Risorsa Comune che invece intendo io come Bene di tutti.

E secondo me dobbiamo rivendicare questo ruolo alle aree montane: una risorsa Comune che non è assolutamente a libero accesso.

Perché se la montagna è una risorsa Comune, tutti si devono interessare al fatto che i servizi ci vengono strappati via, a tutti deve interessare che le istituzioni che la rappresentano vengono cancellate o messe nell’impossibilità di operare. Se la montagna è un Bene Comune, a tutti deve interessare che un ragazzo deve alzarsi tutte le mattine alle 5.30 per essere al Liceo a Cuneo alle 8.00; a tutti deve interessare che una scuola media può chiudere perché vengono tagliati i trasporti e che quella più vicina è a 30 km più in basso.

Se la montagna è un bene comune, tutti devono piangere una postina che per fare il suo lavoro, in montagna, percorre centinaia di km in un giorno con continui saliscendi finendo contro un muro perdendo la vita.

Se la montagna è un bene comune, tutti devono chiedere scusa a questa ragazza e alla sua famiglia.

Se invece vi limitate a interessarvi alla montagna intesa come risorsa a libero accesso, sappiate che non troverete più gente silenziosa a dirvi “avanti prego”. La montagna come libero accesso, sotto le varie forme, non ha mai avuto motivo di esistere prima, e non ce l’avrà sicuramente oggi e in futuro.

POLITICA AGRICOLA COMUNITARIA:MORIRE DI GREENING. Ecco come la nuova PAC 2014-2020 darà il colpo di grazia a margari e pastori veri!

Il pagamento ecologico (greening) è una delle principali novità della riforma della Pac, in linea con quel processo di “inverdimento” del sostegno all’agricoltura più volte annunciato dalla Commissione. Il regolamento definisce il greening come un pagamento per le pratiche agri-cole benefiche per il clima e l’ambiente, che dovrebbe remunerare la produzione di beni pubblici, in linea con gli obiettivi della Strategia Europa 2020.

Il greening è la seconda componente per importanza dopo il pagamento di base, per un ammontare corrispondente al 30% del massimale nazionale, uguale per tutti gli Stati membri. Esso sarà erogato annualmente per ettaro ammissibile di superficie agricola.

Gli agricoltori ne avranno diritto a condizione che percepiscano il pagamento di base e che rispettino sui loro ettari ammissibili tre pratiche agricole considerate benefiche per clima e ambiente:

1) diversificazione delle colture;
2) mantenimento dei prati permanenti;
3) presenza del 7% di aree di interesse ecologico.
 Le suddette pratiche agricole vanno rispettate congiuntamente, salvo nel caso di presenza di soli prati permanenti.

Diversificazione delle colture

Quando le superfici a seminativo presenti in azienda superano i 30 ettari, gli agricoltori dovranno prevedere almeno tre tipi di colture, (saranno esonerate le aziende sotto i 10 ettari e dovranno prevedere due tipi di colture le aziende tra 1 10 e 30 ettari) ognuna delle quali non potrà superare il 70% della superficie a seminativo e dovrà interessare almeno il 5% della stessa superficie a seminativo. Dunque, è bene sottolineare i seguenti due elementi
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1) la diversificazione si applica solo alle colture a seminativo e non si applica alle colture permanenti legnose e ai prati e pascoli permanenti;

2) si applica solo alle aziende che superano i 10 ettari a seminativo. Una puntualizzazione importante riguarda il fatto che la diversificazione è un concetto diverso dalla rotazione colturale e che, proprio per questo, i suoi effetti sull’ambiente possono essere molto diversi, e non necessariamente benefici: l’agricoltore deve solo dimostrare ogni anno la presenza di tre colture nella propria azienda, ma non il loro avvicendamento nelle parcelle agricole. Le tre colture possono essere posizionate anche in corpi aziendali distinti e lontani ed anche ripetute in monocoltura sulla stessa particella negli anni successivi.

Sono previste tre deroghe, in cui non è obbligatoria l’applicazione della diversificazione delle colture:

– seminativi interamente utilizzati per la produzione di erba (prati avvicendati, erba medica, eccetera);

– seminativi interamente utilizzati a colture sommerse per una parte significativa dell’anno (riso);

– seminativi interamente lasciati a riposo.

Mantenimento dei prati permanenti

Gli agricoltori dovranno mantenere le superfici adibite a prati e pascoli permanenti . In altre parole, le superfici a prati e pascoli permanenti non possono essere trasformate in seminativi.

Aree di interesse ecologico

Gli agricoltori dovranno riservare almeno il 7% della loro superficie agricola a destinazioni a valenza ecologica, escluse le aree a prato permanente. Quindi il vincolo vale sia per i seminativi che per le colture permanenti legnose. Sono considerate “destinazioni ecologiche” terreni a riposo, terrazze, aree di valore paesaggistico, fasce tampone, superfici oggetto di imboschimenti nell’ambito dei Psr.

Leggendo queste norme,uno potrebbe dire:bene! Una svolta ecologica del Piano di sviluppo rurale europeo. Io dico :MALE. Perché?

Tutte le aziende agricole sono obbligate al greening, dalle piccole alle grosse,da quelle in montagna(che non hanno problemi a farlo, perché già è così, a quelle in pianura, che avranno problemi serissimi ad ottemperare a questi vincoli per la mancanza di superfici. Le aziende agricole intensive della pianura, difficilmente metteranno superfici a pascolo e ancora di più a riservare il 7% della superficie attuale a destinazione di aree di interesse ecologico. E quindi?

E quindi riparte la corsa impazzita e senza regole alle uniche superfici disponibili che abbiamo nel nostro Paese. Quelle in montagna. Ed è già partita questa corsa: invece di mutare le attuali superfici aziendali,si va a cercare estensione in montagna pagando a prezzi fuori mercato affitti per terreni privati e pubblici obbligando chi sempre ha utilizzato quei pascoli a scendere a patti col diavolo o a morire!

Ancora una volta la politica agricola è a favore della rendita fondiaria e non del lavoro agricolo attivo; ancora una volta la politica agricola comunitaria è contro la montagna e contro i margari e pastori!

Chi vuole queste cose? Chi sono i personaggi politici che gestiscono o sono soci di società agricole che percepiscono milioni di € l’anno in pagamenti?

Chi può fare qualcosa si muova, perché la montagna invece di vivere di green economy rischia di morire di greening.

pac-2014-2020

ACQUA:NON C’E’ CANONE SENZA POLITICA

Primavera2

Mercoledi 22 Maggio il Consiglio delle Autonomie Locali aveva all’o.d.g. in discussione un nuovo Regolamento (fatto di Giunta) che disciplina i canoni di concessione delle acque minerali e di sorgente destinate all’imbottigliamento (secondo i criteri della legge 25 del 1994).

Un assemblea ai minimi termini – e una profonda riflessione sul ruolo che il Consiglio Regionale vuole dare al Cal è d’obbligo- si è trovata nelle condizioni di esprimere un parere su un Regolamento di Giunta che ha ricevuto qualche giorno prima dell’Assemblea senza poter analizzare e incastonare in un contesto più organico che va sotto il nome di :quale ritorno per il territorio che produce la risorsa?

I canoni decisi e la ripartizione fatta vanno a sicuro vantaggio dei singoli comuni in cui ci sono gli impianti di imbottigliamento (giusto), qualcosa ai comuni che ne hanno solo svantaggi ( traffico), il rimanente va alla Regione che per legge regionale lo inserisce nel Fondo Regionale per la montagna. Tutto giusto, in prima lettura. Peccato che la partita, che vale parecchi milioni di euro, su una risorsa che è della Montagna, ritorna alla montagna,dalle previsioni della giunta 600000 € /anno…su tutto il Piemonte.

A questo aggiungiamo che tre anni fa, sempre la Giunta, con una decisione unilaterale, ha raddoppiato il canone regionale sulle concessioni idroelettriche:il solo raddoppio vale oltre 15 milioni di euro. Nessuno di questi è tornato alla montagna direttamente. E anche qui, permettete, ma le centrali idroelettriche sono roba nostra (come insediamento).

La Regione ha emanato la legge di riordino degli Enti Locali in cui ha modificato alcuni art. della Legge sulla Montagna:art. 50 prevede le voci che dovrebbero andare a dar vita al fondo regionale. Come si può discutere di regolamenti e canoni su acqua nelle varie formule,senza prendere in modo SERIO in mano la questione: COSA VOGLIAMO FARNE DELLA MONTAGNA PIEMONTESE? COME LA FINANZIAMO?COME NON LA DERUBIAMO?

Ecco….mi aspetterei da amministratori regionali che prima di cancellare un Ente beneficiario di risorse (poche), discutesse e proponesse soluzioni di ampio respiro per dare a Cesare quel che è di Cesare..ovvero per dare al monte ciò che è del monte…